A cura di “Paola Gusmani – assistente sociale UTI Friuli Centrale”.

 

Lontani dai punti nevralgici e più scottanti di questa fonte –imprevista e sconosciuta- di paure, sofferenze, prove ed ostacoli, registriamo nuove richieste, segnalazioni, problematiche, ed altrettante nuove tipologie di bisogni, di utenti, di collaborazioni, di strumenti.
Ci ritroviamo anche ad essere persone (prima ancora che operatori) diverse, scopriamo qualcosa in più dei nostri colleghi, dei nostri coordinatori, del nostro lavoro.
E scopriamo quanto, nei momenti critici e più “caldi”, è determinante la “filosofia” del Servizio Sociale, l’idea che ciascuno ha di come concretamente realizzare quel sistema di valori che è contemplato nel nostro Codice Deontologico.
OPPORTUNITA’ è una parola-chiave che mi viene in mente, da mettere accanto alla parola “problemi”, per far sì che emerga e nasca, da questa fase che stiamo attraversando, una progettualità operativa e costruttiva, come elemento caratterizzante e distintivo del Servizio Sociale.
C’è Renato, un uomo che da sempre è conosciuto dal Servizio, sempre in bilico tra il “non pago l’affitto” ed il “siete incompetenti, io ho i miei amici che mi aiutano, posso chiedere a loro tutto quello che voglio, quando ero in politica….”.
Eccolo, improvvisamente è rimasto solo, non c’è più nessuno che si presenti alla porta di casa sua a fargli le commissioni. E’ sempre più isolato, perde autonomia e non chiede aiuto.
Letteralmente saltano fuori da un cappello magico :
– una figlia, residente in altra regione, interpellata dal padre dopo secoli, affinchè lei contatti quel servizio sociale a cui lui ha sempre dato dell’incompetente,;
– una “ex compagna”, residente anche lei altrove, che saltuariamente si reca da Renato, e pare voler far riavvicinare lui ai figli.
Allora l’assistente sociale diventa un sarto, ed imbastisce, cuce, rammenda gli strappi di una vita, e pretende dalle stoffe disponibili quello che ciascuna può dare, e rispetta il modello iniziale, pur nelle necessarie modifiche. E tesse una trama dove ci stanno tutti: da Renato, a chi gli porta i pasti pronti a casa, alla Protezione Civile per i farmaci, ai figli, alla ex, all’Azienda delle Case Popolari.
E vediamo come andrà.
E c’è Adele, che non vuol capire che, se si è anziani, è meglio stare in casa, è inutile correre rischi, gli aiuti possibili ci sono.
Ma nell’alloggio nuovo, quello che le hanno dato quando sono riusciti ad imporsi, perché lei non poteva più vivere dove l’intonaco cadeva a pezzi, e correva l’acqua lungo i muri fino al piano di sotto, ed aveva accumulato così tanta roba inutile, che neanche più si camminava, no, niente da fare, in quell’alloggio non si può stare chiusi dentro, ed allora Adele esce, senza mascherina, inforca la bicicletta e si mette a pedalare, nessuno capisce dove va.
E la figlia? Sì, fa quello che può, ma è infermiera, lavora in ospedale, le hanno raccomandato per ora di non avere contatti con persone anziane, di stare il più possibile lontana, per non mettere a rischio nessuno.
Ed allora proviamo ad entrare nel mondo di Adele in punta di piedi, cominciamo una volta alla settimana a darle il servizio domiciliare per il bagno assistito. Creiamo un minimo di contatto con lei, e diamo una certezza anche alla figlia.
E vediamo come andrà.
E ci sono Mercedes ed Aldo, una vita passata insieme, mai avuti figli, solo l’uno per l’altra e viceversa. Chiusa la porta di casa, nessuno mai li sentiva, e non chiedevano niente a nessuno.
Gli altri abitanti del condominio? E chi li conosceva? Si facevano i fatti loro. E pace.
Poi succede che Aldo si ammala. E viene ricoverato in ospedale.
Mercedes sola a casa gli prepara qualcosa di speciale da mangiare, fa un bel pacchettino, aspetta l’autobus e glielo porta in ospedale. Ogni giorno. Per qualche settimana.
E poi arriva il Coronavirus. No, Aldo non ha quella patologia.
Però c’è la quarantena e tutto chiude, compreso l’ospedale. Mercedes non può accedere al reparto e vedere Aldo.
Passano i giorni, Mercedes ha notizie telefoniche dalla caposala.
Finchè arriva una segnalazione ai vigili, dai vicini di casa. Da giorni nessuno dei vicini vede Mercedes, però tutti l’hanno sentita piangere. La conosco? Perché i vigili devono andare a vedere….
Non la conosco, raccolgo le prime informazioni, da cui emerge un grande isolamento negli anni, e diffidenza verso chiunque. Mi immagino questa vecchina, riservata, ed anche un po’ arrabbiata con il mondo; e se i vigili le bussano alla porta? Farà finta di non sentire? E se pensa che ci sia qualche notizia brutta riguardante Aldo?
Telefono al reparto, mi faccio dare notizie sul marito, la data della probabile dimissione, e concordo con i vigili che andremo insieme.
E vediamo come andrà.
E c’è Anna, a casa dal lavoro, con i tre bambini a casa da scuola, e come farà ad andare a fare la spesa?
E c’è Greta, con la figlia che vive negli Stati Uniti, che appena si può “io andrò là, sa che belle le cascate del Niagara, tanto ho i biglietti aerei gratis, mia figlia è hostess”, però qui è sola, a rischio che nessuno si ricordi che esiste, ci vuole almeno una telefonata ogni qualche giorno, e magari la ragazza che abita al piano di sopra e la conosce, va giù a veder come sta e mi riferisce.
E c’è Fulvio, passati i 70, che vive con moglie, figlio disoccupato, nipote che ha cresciuto lui, e che deve sbarcare il lunario e “questo mese non ho pagato l’affitto, dobbiamo mangiare…”; e… “la prego, mi dica quando posso venire a parlarle, vengo adesso?”
Dopo questa prima fase di emergenza, ho potuto individuare in particolare 4 fasce di problematiche direttamente conseguenti ai cambiamenti a cui ci ha costretti l’entrata in scena del Covid 19:
1. il problema economico di persone e nuclei mai conosciuti prima, da un momento all’altro senza una fonte di reddito;
2. persone fragili (anziani, disabili, con disturbi mentali) che non riescono a comprendere e concepire la misura della quarantena;
3. la difficoltà ad attivare il privato sociale e le risorse assistenziali autonome;
4. la gestione dei minori.
Questo momento chiama ciascuno, ed anche gli assistenti sociali, a grosse responsabilità, e ci chiede una chiara consapevolezza:
Non è pensabile che il problema di una persona sia soltanto suo: questo virus ci sta obbligando a pensare che QUEL problema riguarda tutti, riguarda la comunità.
Allo stesso modo, non c’è un salvatore, da solo, che risolve tutto.
Le soluzioni sono frutto di azioni partecipate, con ruoli diversi che si integrano. E lo stesso rispetto è dovuto a ciascuno.
La dimensione comunitaria diventa importante, come il riconoscimento dei ruoli reciproci.
Il fine è quello di rendere concreto il concetto che bene esprime il nostro Ordine:
NESSUNO PUO’ ESSERE LASCIATO INDIETRO

Udine, 05.05.2020